ROMA – Lo stesso Enrico Berlinguer lo aveva ben presente: “Chi fa politica mette in conto la prigione” disse poco più che ventenne quando fu arrestato a Sassari, la sua città natale. Ma vuoi mettere la differenza con i politici di oggi, con i motivi per cui finiscono in tribunale accusati di aver preso addirittura pochi spiccioli? Sono passati 40 anni dal comizio fatale in Piazza della Frutta a Padova, dove l’allora segretario generale del Partito comunista italiano, aveva deciso di chiudere la campagna elettorale per le elezioni europee. Berlinguer un attimo prima di invitare i militanti a recarsi casa per casa per chiedere il voto fu colpito da ictus e morì in ospedale dopo 4 giorni di coma.
LA PRIGIONIA
Personaggio molto amato, ancora oggi ricordato con rispetto dal mondo politico a livello trasversale. Sull’onda della sua morte il Pci per la prima volta nella storia italiana prese più voti della Democrazia Cristiana. Ripensando a Berlinguer, a quando non ancora ventenne cominciò ad impegnarsi politicamente, non si può non pensare alla poco edificante immagine che offre oggi il mondo politico. Con molti i politici protagonisti di scandali, ruberie, molte volte coinvolti in vicende da poche migliaia di euro. Anche il giovane Berlinguer aveva messo in conto di finire in galera, e ci finì, ma per lottare a fianco degli ultimi, per cambiare in meglio la loro vita di fame. Nato a Sassari nel 1922, non aveva ancora compiuto 22 anni quando tra il 13 e il 14 gennaio del 1944 nella sua città scoppiò la rivolta del pane. Migliaia di cittadini affamati diedero l’assalto a forni, magazzini di grano e frantoi. Tra gli organizzatori politici proprio Berlinguer, capo dei giovani comunisti di Sassari, che in quell’occasione si trovò contro non solo le forze dell’ordine ma anche gli anziani del Partito comunista contrari alla rivolta. Berlinguer fu arrestato, rinchiuso in una cella di 11 metri quadrati con solo una piccola finestra sbarrata a 2,5 metri di altezza. Rimase in prigione 100 giorni, e passò tutto il tempo a studiare libri di grandi pensatori e politici, ma si appassionò anche al teatro del grande Shakespeare imparando a memoria in inglese tutto il monologo di Amleto “Essere o non essere…”.
LE LETTERE
Alla fine fu prosciolto dal giudice per non aver commesso il fatto. Su Berlinguer, anche in questi ultimi tempi, tutti hanno scritto di tutto. Io vorrei soffermarmi su alcuni aspetti particolari della sua esperienza politica e dedicare una parte alle lettere che scrisse durante i 100 giorni di prigione. Il giovane Berlinguer, a sorpresa, in quel momento decisivo, influenzato dalle idee rivoluzionarie dello zio Ettorino, scrive : “Le mie teorie politiche tendono ogni giorno di più verso l’anarchismo”, e poi “… d’altra parte è ancora e forse più forte di prima in me l’influsso di uno scetticismo integrale”. Grande la passione per la filosofia, in un’intervista Berlinguer lo dichiarò, lui da giovane sognava di fare il filosofo. Uscito dal carcere il padre Mario, avvocato ed ex deputato antifascista del Partito d’Azione, forse spaventato dalla visione anarchica del figlio, portò il figlio a Salerno a conoscere Palmiro Togliatti, segretario generale del Pci, di cui era stato compagno di classe durante il liceo.
IL PCI
Da quel momento la vita del giovane Berlinguer cambiò radicalmente e cominciò il suo percorso politico. Però fu un comunista atipico, un ribelle che si ribellava alle definizioni della sua classe sociale, che da subito capì che doveva unirsi e lottare per la più grande forza popolare. Fabrizio Rondolino, nel suo album di racconti e ricordi “Con il nostro Berlinguer”, riporta un episodio fondamentale: “… Nel 1956 dovette lasciare la Federazione dei giovani comunisti e uscire dalla direzione del partito perché dopo l’invasione sovietica in Ungheria ebbe il coraggio di difendere, lui solo insieme a Di Vittorio leader della Cgil, gli insorti di Budapest che si opponevano alla Russia”: Apriti cielo, fu spedito a coordinare la scuola di formazione del partito. Altro stop alla sua carriera quando venne accusato di ‘ingraismo’ (Pietro Ingrao, leader della sinistra interna al Pci, ndr) nel 1966. Al congresso nazionale tutto il gruppo dirigente viene confermato tranne lui, spedito a fare il vicesegretario regionale in Sardegna.
LA STRATEGIA DI KISSINGER
Questo aiuta a comprendere la stoffa di un politico che sapeva anche difendere, pagandone il prezzo, la libertà di pensiero. Col tempo la sua politica da segretario generale si staccò dall’Unione Sovietica e si concentrò sul fare del Pci una forza politica pienamente europea. Una politica vincente, tanto da far arrivare alle elezioni politiche del 1976 il Pci a ridosso della Dc, spaventando un boss politico degli Stati Uniti come Henry Kissinger: “… I comunisti come Berlinguer – disse Kissinger al ministro degli Esteri inglese- sono più pericolosi del leader comunista portoghese Cunhal (totalmente appiattito sulle posizioni sovietiche, ndr)”. E c’è sempre Kissinger dietro al gruppo di specialisti che viene insediato in America con il compito di mettere a punto la strategia operativa anticomunista, graduandone le mosse a seconda dei vari scenari.
La prima parte è dedicata proprio, come ha scritto a suo tempo Filippo Ceccarelli, “a come impedire che il Pci vada al governo”. Ed è proprio a seguito dei golpe fascisti prima in Grecia e poi in Cile nel 1973 che Berlinguer arrivò a definire la nuova strategia politica del Compromesso storico, l’accordo tra le due principali forze politiche antagoniste, Dc e Pci, per risolvere insieme i gravi problemi che attanagliano l’Italia. Berlinguer e il presidente della DC, Aldo Moro, per questo minacciato direttamente da uomini dell’allora amministrazione Usa, trovarono una intesa per collaborare dall’esterno e poi aprire il governo al Pci. Una strategia che i terroristi delle Brigate Rosse fecero saltare uccidendo il presidente Dc. Per la gioia degli americani alla Kissinger e dei potenti dell’Unione Sovietica. Ma come detto è sulle lettere dal carcere del giovane Berlinguer che vorrei concludere questo ricordo. Sono 32 lettere che Walter Veltroni ha avuto dalla famiglia e pubblicate nel suo libro “Quando c’era Berlinguer”. Negli scritti già si nota una formazione intellettuale molto varia, non solo Marx ed Engels ma anche Tocqueville, Croce, Voltaire, Locke, Poe tradotto da Baudelaire. Già sobrio da giovane: “Non mandate troppo da mangiare -scrive ai parenti- e non drammatizzate la mia situazione”.
“UN COMUNISTA-ANARCHICO”
Pensa alla libertà, da ottenere “senza umiliazioni e conservando la dignità, non voglio farmi passare per vittima”. Sulla vocazione politica si definisce “comunista-anarchico”. Qui alcuni passaggi, belli e curiosi, delle sue lettere. “… Si capisce bene che il carcere non è il paradiso, ma io sento di poterlo sopportare e superare con fermezza e serenità di spirito. La maggior parte delle mie giornate le passo in letture e studio”. I pasti che gli mandano i parenti “vanno in genere bene come quantità e qualità. Mandate però meno vino, ricordatevi che il thermos deve essere pieno se no il the si raffredda. Biancheria per ora nulla, Libri ne ho e non me ne occorrono altri”. Al padre scrive: “Coloro che associano il proprio destino a quello di un partito avanzato devono essere pronti a passare in prigione un certo periodo di tempo. E’ una cosa normalissima, non voglio che si facciano grandi montature. Sarebbe ridicolo”. “Carissimi, nonostante il seccante (intenzionale?) ritardo del giudice, godo sempre di buon umore…in questi giorni ho imparato a memoria in inglese il celebre monologo di Amleto… Il brano è veramente sublime. In 33 versi sta il dramma, perfettamente definito in sé, di ogni uomo. E’ eterno”. “Qui ci danno circa 2 libri a settimana ma sono in genere molto stupidi e più pesanti quindi degli intelligenti. I libri cerebrali non mi stancano ma la notte dopo cena preferisco leggere qualcos’altro”.
ALLA ZIA CARMELA
Per finire, una bellissima e scherzosa lettera alla cara zia Carmela: “… ti ringrazio delle due cartoline, stranamente prive di consigli di prudenza. Non ti meravigliare se Dio non esaudisce i tuoi voti. In generale non esaudisce neppure quelli del Papa, che pare sia suo intimo. La Provvidenza persegue le sue vie e i suoi mezzi sono a noi inscrutabili… Diceva un filosofo, uno di quei veri che avevano la barba lunga, è che noi non sappiamo nulla. E neanche di questo possiamo essere certi. Come vedi, fare il filosofo giova a poco, e conviene darsi all’ippica. Eppure, certe cose le possono sapere soltanto i filosofi”.
L’articolo 40 anni dal comizio ‘fatale’ di Padova: Enrico Berlinguer, il comunista anarchico che sognava di fare il filosofo proviene da Agenzia Dire.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it