26Settembre , 2023

Mafie, a Bologna “i nigeriani controllano il territorio con l’elemosina”

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BOLOGNA – La richiesta di elemosina per strada come metodo di “controllo del territorio” e veicolo per la gestione di affari criminali. E’ quanto sta accadendo da qualche anno a Bologna secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII ma anche secondo il magistrato Stefano Orsi, già pm della Direzione distrettuale antimafia poi passato alla Procura generale della Corte d’appello: per Orsi, l’ipotesi è questo controllo tramite i questuanti possa interessare da vicino anche la Questura, gli uffici giudiziari e chi vi entra ed esce.Dell’argomento si è parlato stamattina durante un’udienza conoscitiva del Consiglio comunale. Ai lavori della commissione ha partecipato Nicola Pirani, coordinatore dei volontari dell’unità di strada della Giovanni XXIII che lavorano nel progetto “Oltre la strada”, promosso dalla Regione Emilia-Romagna per gestire gli interventi socio-sanitari sul campo della prostituzione, del grave sfruttamento e della tratta di esseri umani. Le affermazioni del magistrato Orsi, segnalate dallo stesso Pirani, risalgono invece ad un convegno online organizzato proprio da “Oltre la strada” lo scorso aprile.

TANTI QUESTUANTI NELLA ZONA DEGLI UFFICI GIUDIZIARI

Il video del convegno è tuttora visibile online: interpellato sull’idea che chi fa la questua per strada possa in realtà custodire la droga destinata allo spaccio, visto gli scarsi proventi dell’accattonaggio, Orsi (all’incirca dal minuto 59) conferma l’ipotesi: “Può essere che questi ragazzi si prestino a custodire quel tesoretto di dosi che lo spacciatore di volta in volta va a cedere”, evitando di tenere con sè grosse quantità di sostanza. Ma Orsi va oltre, segnalando che “in via Garibaldi, dove ci sono gli uffici giudiziari, ci sono due o tre o a volte anche quattro nigeriani che chiedono l’elemosina e, allo stesso modo, nel tragitto che va da via Farini verso la Questura”. “Io non voglio sembrare un complottista” perchè “non credo di esserlo”, continua Orsi, ma dopo un po’ “questi disgraziati, per quanto possano non avere un livello culturale elevatissimo, ma questo lo dobbiamo verificare perchè non lo sappiamo, conosceranno tutti i magistrati, i poliziotti e i personaggi che transitano per la Questura, il Tribunale e la Procura. Se non è una forma di controllo del territorio questa…”. Di questa conoscenza “cosa se ne fanno? Non lo so, ma intanto controllano il territorio”, continua il magistrato, ricordando che questo fattore “per qualunque organizzazione criminale è la base fondamentale. Se dobbiamo ragionare in termini militari, il criterio è quello”.

“SERVONO PAROLE PER VERIFICARE IPOTESI”

Anche se “da qui ad accertarlo diventa difficile, così come è stato difficile- continua il magistrato- accertare l’esistenza della mafia nigeriana dietro alla tratta finchè non abbiamo avuto un collaboratore che ce ne parlasse, lo stesso che ha iniziato a lavorare con la Dda di Torino e che poi abbiamo utilizzato noi, ma non ci ha parlato di accattonaggio”. Dunque, serve “un collaboratore che ci parli di queste attività di controllo del territorio attraverso il meccanismo plausibile dell’accattonaggio”, spiega Orsi: altrimenti restano “ipotesi che però rimangono tali”. Ipotesi che intanto convincono la Giovanni XXIII, che chiede di “tenere sotto controllo” il fenomeno dei questuanti nigeriani perchè “secondo noi- afferma Pirani- fanno accattonaggio, ma nel mentre fanno anche altro”: custodia della droga o controllo del territorio, per l’appunto. Del resto, durante il lockdown i questuanti nigeriani “erano scomparsi- fa notare Pirani- mentre rumeni e serbi continuavano ad essere presenti, perchè loro con quello che raccolgono ci mangiano, mentre probabilmente i nigeriani hanno altre fonti”.

GIOVANNI XXIII: “COSÌ LA QUESTUA NIGERIANA SI È PRESA IL CENTRO”

Se per il magistrato Stefano Orsi è “plausibile” che la mafia nigeriana, a Bologna, usi i questuanti con finalità di controllo del territorio, intanto, di sicuro, c’è che dal 2016 in poi la presenza di nigeriani tra i questuanti è “cresciuta in modo esponenziale”, scavalcando le altre nazionalità più diffuse, ovvero rumeni e serbi. A spiegarlo è Nicola Pirani, coordinatore dei volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII impegnati nel progetto “Oltre la strada”. Fino a qualche anno fa, il 47% dei questuanti presenti in città provenivano dalla Romania e solo il 7% o 8% dall’Africa, riferisce Pirani: poi dal 2016 “le percentuali hanno iniziato progressivamente ad invertirsi” e le persone di origine africana sono arrivate “fino al 58%, praticamente tutte nigeriane, mentre i rumeni sono scesi al 20%”.

RUMENI CON UN CARTELLO, NIGERIANI SI AVVICINANO ALLE PERSONE

Diverso il modo di chiedere l’elemosina. Mentre rumeni e serbi tendenzialmente stanno fermi in un posto ed espongono un cartello, spiega Pirani, i nigeriani “si muovono e vanno incontro alle persone” e così facendo “hanno iniziato pian piano ad occupare le zone più remunerative della città”. Rumeni e serbi “ci hanno raccontato di un metodo pianificato dei nigeriani”, continua Pirani: se arrivano in un punto che decidono essere molto remunerativo e lì c’è già un rumeno, “vengono in quattro o cinque, si mettono lì e cominciano ad impedire a quest’uomo di fare l’elemosina. Lui piano piano va via” e in questo modo i nigeriani “si sono presi tutto il centro storico”. Dietro, per la Giovanni XXIII, c’è una pianificazione ben precisa: “È tutto organizzato, è chiaro che c’è una gestione al millimetro di tutto”, afferma Pirani, condividendo con Orsi l’ipotesi che la presenza capillare dei questuanti possa servire a controllare il territorio e supportare traffici illegali, come lo spaccio di droga.

Pirani racconta, ad esempio, di aver visto personalmente in via Indipendenza “un ragazzo di colore, ben vestito, che diceva qualcosa a tutte le persone che facevano l’elemosina e gli rispondevano guardando a terra”, cosa che tra gli africani “vuol dire riconoscere una persona più importante”. La Giovanni XXIII, racconta poi Pirani, può incrociare le informazioni raccolte occupandosi anche di altri temi, come lo sfruttamento della prostituzione o i colluqui con i richiedenti asilo inviati dalla Commissione territoriale quando emerge il rischio tratta. Una ragazza finita all’hub di via Mattei, ad esempio, ha raccontato ai volontari di essere stata agganciata lì da un ragazzo nigeriano per avviarla alla prostituzione: ragazzo “che di giorno faceva l’elemosina”, afferma Pirani. Lo stesso dicasi, continua l’operatore della Giovanni XXIII, anche per uno degli arrestati nell’ambito delle inchieste sui Maphite, che stazionava davanti ad un supermercato delle provincia continua a leggere sul sito di riferimento